La memoria anticipata. Gli edifici della business community di Trieste nell'Ottocento

di Giulio Mellinato

Negli anni successivi alla definitiva sconfitta di Napoleone, la comunità commerciale di Trieste era ancora giovane, e poteva sfruttare appieno le numerose potenzialità della nuova epoca. L'aspetto della città, che in quegli anni aveva ricominciato a crescere, e la sostanza della sua solidità economica, avevano molti elementi in comune. I palazzi e gli edifici della città “nuova” erano esenti da numerose forme di imposta (possesso, vendita, successione), e stavano rappresentando un importante strumento per attirare capitali dall'esterno, come ha ben sottolineato lo storico Alexander Panjek, oppure per investire quasi senza rischi i proventi delle attività commerciali e finanziarie che avevano ricominciato a fiorire.
Se erano recenti gli edifici dei quartieri commerciali, in gran parte rinnovata era anche la comunità commerciale triestina, estremamente vitale ed innovativa negli anni del definitivo trionfo austriaco in Adriatico, tra la sparizione della Repubblica di Venezia e la vittoria di Lissa contro l'Italia. Il privilegio del portofranco, che garantiva una esenzione doganale quasi completa per l'intera città ed una parte del circondario, venne ampiamente utilizzato come volano per intercettare consistenti volumi di traffico tra il Mediterraneo e l'Europa centrale. Nell'Impero degli Asburgo le competenze commerciali e marittime erano relativamente scarse, tanto da rendere strategicamente importanti dapprima l'acquisizione di quelle capacità e conoscenze, ed in seguito il loro mantenimento e perfezionamento, attraverso strumenti ancorati all'unico centro marittimo storicamente austriaco. Ciò portò a fare di Trieste una piccola ma ben attrezzata «capitale marittima dell'Adriatico asburgico», con infrastrutture materiali ed immateriali adatte a gestire localmente l'intero doppio circuito, delle merci e dei trasporti, assieme a tutti i servizi finanziari, assicurativi e di altro tipo.
All'interno di un contesto così dinamico, il cosmopolitismo della giovane “business community” triestina non era soltanto una necessità commerciale, ma anche una sorta di marchio di garanzia per chi intendesse intrecciare rapporti d'affari con qualcuno dei suoi membri. In un testo divulgativo di metà Ottocento, si ricordava come «è questa una città poliglotta come ve ne sono poche, la maggior parte delle persone della classe agiata sanno da tre a sei lingue […] in causa del miscuglio degl'indigeni coi forestieri, gli usi e i costumi della popolazione della città hanno perduto ogni originalità» (Dizionario Corografico-Universale dell'Italia, vol. IV, Milano, 1858, pag. 57).
Una simile «classe agiata» comprendeva commercianti, finanzieri, professionisti e qualche industriale, ed in pratica aveva in mano le sorti della città, politicamente autocefala grazie alla condizione di “città immediata” dell'Impero. In quel periodo, le persone che gestivano l'economia cittadina avevano la possibilità di indirizzarne lo sviluppo lungo percorsi molto vicini ai propri interessi ed alla propria cultura, concentrando l'attenzione di chi percorreva i moli, le strade e le piazze di Trieste sulle nuove virtù borghesi (e tendenzialmente universali) dell'efficienza e del successo, piuttosto che su simboli legati alle origini familiari o comunali, sorpassando d'un balzo tutte le tradizioni locali che non ricoprivano un ruolo significativo nella storia economica cittadina.
La costruzione della porzione di città dedicata alla “business community” serviva a trasmettere specifici messaggi, che riproducevano ed ampliavano precisi standard sociali. La gerarchia degli spazi ed il loro aspetto esteriore svolgevano la funzione di un manuale d'istruzioni, per leggere la città ed utilmente interagire con la parte più economicamente attiva dei suoi abitanti.
All'inizio dell'Ottocento, il Canal Grande aveva lo scopo di facilitare lo sbarco e l'imbarco delle merci, ma anche quello di una prima presentazione della città ai forestieri. L'ingresso del canale era dominato dall'imponente palazzo di Demetrio Carciotti, con un fronte verso il mare di 40 metri ed un lato verso il canale lungo ben 100 metri. Come si usava all'epoca, l'edificio era adibito a residenza, magazzino, manifattura e a tutta una serie di altre funzioni, dalle stalle agli alloggi dei servi agli appartamenti da dare in affitto. Svolgeva anche una importante funzione simbolica, dal momento che l'imponente facciata neoclassica dichiarava la solidità delle fortune commerciali del proprietario, le statue greche sulla balaustra richiamavano la sua origine, ed infine l'aquila napoleonica posta sopra la cupola rendeva esplicite le sue idee politiche, per l'epoca progressiste.
Da una parte e dall'altra del Canal Grande si susseguono ancor oggi le dimore degli altri commercianti, distribuite secondo una rigorosa maglia ortogonale (che riproduceva lo schema delle preesistenti saline, bonificate a partire da Maria Teresa) che sboccava su Piazza della Borsa, dominata da un altro edificio neoclassico, costruito pochi anni dopo palazzo Carciotti, con una facciata ancor più imponente ed esplicita, che inizialmente ospitava la Deputazione di Borsa. Si tratta di un insieme quasi cacofonico di simbolismi: per ricordare soltanto i più appariscenti basti dire che le statue sulla facciata rappresentano i continenti allora riconosciuti (Asia, Africa, America ed Europa), assieme alle divinità creatrici Vulcano e Mercurio. Invece, poco più in alto, i putti rappresentano le allegorie di Commercio, Navigazione, Industria e Abbondanza.
La vera autocelebrazione delle virtù commerciali triestine prese la forma del vicino, ma più tardo palazzo del Tergesteo, costruito come luogo di affari, di socialità ma anche di svago, visto che doveva servire, tra l'altro, a collegare la Piazza della Borsa al Teatro.
Per i tempi nei quali fu costruito, e per le dimensioni all'epoca raggiunte dalla città, il fabbricato era grandioso, quasi sproporzionato. La galleria e gli ampi spazi all'interno dell'edificio sostituirono la Borsa come sede degli affari che, come mostrano le stampe dell'epoca, mescolavano persone vestite all'europea con personaggi abbigliati secondo le diverse usanze del Mediterraneo orientale e meridionale. Per questo, fin dalla sua inaugurazione, il Tergesteo rappresentava la evidente attualizzazione degli obiettivi verso i quali i triestini volevano proiettare la loro città ed i loro affari, piuttosto che la realtà contemporanea. Non a caso, nel 1844, il Tergesteo venne inaugurato dall'Imperatore in carica (Ferdinando I), accompagnato dal giovane imperatore futuro, Francesco Giuseppe. Chissà cosa avranno pensato, attraversando l'ingresso verso Piazza della Borsa, dominato da sculture che ancora oggi raffigurano il trionfo del Commercio, dell'Industria e, naturalmente, di Trieste.