Sulla porta d’oriente: le presenze ortodosse e armena

Le presenze ortodosse

di Bojan Mitrovic

Anni ’50 del secolo scorso, una domenica mattina. La vecchia corriera, piena di escursionisti e di rocciatori, arriva ansimando nella piazza di Bagnoli, tutti scendono e s’incamminano veloci verso il rifugio Premuda, dove la signora Maria prepara gli gnocchi per il pranzo domenicale. All’imbocco vero e proprio della Valle le strade si dividono: gli escursionisti salgono al Monte Carso, al Monte Stena, vanno a Bottazzo, dove l’osteria da Pepi li accoglierà per una sosta rinfrancante, passando lungo il sentiero di fondovalle ed accanto ai vecchi mulini, i rocciatori si dirigono soprattutto alle pareti della Ferrovia ed al Crinale, sotto la chiesetta di Santa Maria in Siaris.
In molti torneranno al rifugio per pranzo e riprenderanno ad arrampicare nel pomeriggio, rimanendo sulle pareti fino a sera, allorché si leveranno qua e là cori spesso stonati ma intensi, momenti di aggregazione e di amicizia che tutti, in seguito, nel trascorrere degli anni, ricorderanno. Al calar della sera la Val Rosandra risuona dei richiami dei suoi numerosi frequentatori che fanno parte di quel mondo alpinistico in cui tutti si conoscono ed in cui la rivalità tra i gruppi si traduce in qualche scherzo goliardico ma soprattutto in una sfida continua a migliorare le proprie prestazioni e le proprie capacità tecniche.
Spiro Dalla Porta Xidyas, José Baron, Bianca di Beaco sono tra i protagonisti di quegli anni.
La storia alpinistica della Val Rosandra era iniziata tempo addietro allorché le pareti accanto alla linea ferroviaria Trieste Erpelle, dismessa appena nel 1959, avevano attirato l’attenzione dei rocciatori che vi si allenavano nei fine settimana per poi poter affrontare con maggior sicurezza gli itinerari, ben più lunghi, ma non sempre più difficili, delle Alpi.
Erano i tempi di Napoleone Cozzi, Alberto Zanutti, Nino Carniel, componenti la “Squadra Volante” della Società Alpina delle Giulie, primi salitori di vie allora considerate estreme nel gruppo del Civetta.
Nel solco di questa tradizione, negli anni ‘30 e ‘40 del 1900, s’era formato un gruppo affiatato di ragazzi, per lo più operai e studenti, che approffittavano del tempo libero per ritrovarsi e confrontarsi, spingendo sempre più in alto il livello tecnico e le difficoltà superate. Tra loro alpinisti divenuti poi noti come Emilio Comici, ma anche ragazzi in grado di fare da buon secondo di cordata ai più bravi, e ragazze, in grado di condurre sulle maggiori difficoltà, una vera particolarità triestina questa, derivata dal mondo tedesco e da quello slavo.


Tra queste Bruna Bernardini, Fernanda Brovedani, Amalia Zuani, Edvige Muschi, Germana Ucosich, che aprirono la strada a Bianca di Beaco e Silvia Metzeltin, neglia anni ’50 e ’60, a Tiziana Weiss, negli anni ’70, fino ad Ariella Sain, prima accademica triestina, tuttora in attività.
Da allora la fama “alpinistica” della Valle s’era consolidata e, tranne nel periodo della seconda guerra mondiale, in cui s’arrampicava prevalentemente sulla falesie delle strada Napoleonica, a Prosecco, la tradizione della domenica in Valle non s’era mai interrotta.
Ma negli anni ’60 e ’70 ci fu una svolta: crebbe allora una nuova generazione di alpinisti, che non si limitarono più alle consuete uscite del fine settimana, ma iniziarono a far della Val Rosandra e della Napoleonica delle vere e proprie palestre, dove recarsi anche quotidianamente, inoltre furono “scoperte” le falesie della Costiera e di Duino, queste ultime ad opera dei fratelli Lucio e Tullio Piemontese, alla ricerca di sempre nuovi e più difficili itinerari. Enzo Cozzolino, allora studente, fu protagonista assoluto: realizzò numerose vie nuove di difficoltà estrema sulle Alpi, dove fu il primo a raggiungere il settimo grado; talento naturale, aveva capito la necessità di sottoporsi a durissimi e costanti allenamenti e amava soprattutto la Val Rosandra, ma la Valle per lui non era più il luogo dove confrontarsi goliardicamente con gli amici. Enzo era sostanzialmente un solitario. Morì nel 1972, cadendo dalla Torre di Babele, sul Civetta, ma la sua eredità non andò perduta soprattutto grazie alla sua compagna, Tiziana Weiss, validissima alpinista, molto conosciuta anche al di fuori della città, che aveva fatto dell’alpinismo e della natura una sua ragione di vita ed aveva compreso l’utilità del confronto: Tiziana promuoveva incontri tra alpinisti di diverse provenienze, incoraggiando i ragazzi più giovani a condividere il proprio talento e le proprie idee.
Sergio Benedetti fu tra i primi ad aprire a collaborazioni esterne al gruppo triestino e nel 1981, assieme a Silich ed al fortissimo sloveno France Knez, già noto allora ed in seguito divenuto uno dei protagonisti indiscussi dell’alpinismo sloveno, tracciò, sulla grande parete di Ospo, appena la di là del confine, l’Internazionale, uno degli itinerari più belli e difficili del territorio. Ospo del resto era frequentata da tempo dai triestini Luciano Cergol e Roberto Giberna e lo fu in seguito da Giampiero Furlan, Paolo Pezzolato, Roberto Valenti, Daniele Crosato. Finalmente i confini, anche mentali, diventavano permeabili.
Di conseguenza la Val Rosandra, ma soprattutto le difficili pareti della Napoleonica, le falesie della Costiera e quelle di Duino, iniziarono ad essere frequentate con regolarità da rocciatori provenienti da oltre confine, attirati dalla comodità degli accessi e dallo spettacolo grandioso del mare sotto le rocce.
A sancire questa realtà, la bella guida pubblicata nel 2000 da Erik Svab ed altri Arrampicare senza frontiere. Trieste, Litorale Sloveno, Istria. La guida, di grande successo, originariamente in sloveno, fu riedita ed aggiornata alcune volte. Passione che si risente nei ricordi di quanti hanno amato questi ambienti, e in particolare la Val Rosandra: “E poi, senti...fai un’altra cosa...salutami la Valle”, così scriveva in una lettera Enzo Cozzolino, militare ad Arzene, a Tiziana Weiss.
Ma, gettando uno sguardo indietro, tutto ciò non era forse già alla base dell’andar per monti di Julius Kugy, amico e compagno di cordata di Alberto Bois de Chesne, come delle sue guide slovene e austriache?

Sulla porta d’oriente: le presenze ortodosse e armena

L’importante presenza degli armeni

di Adriana Hovhannessian

A Trieste, arrivando dalla piazza dell’Unità d’Italia, dopo aver attraversato la via di Cavana e piazzetta Santa Lucia, ci si trova nella via dei Santi Martiri, la cui prima perpendicolare è via Ciamician, cognome di un noto chimico di origine armena.
Salendo si arriva all’incrocio con la via dei Giustinelli, nome di un ricco possidente armeno, nella quale, al numero 7, c’è un piccolo gioiello ora dimenticato: la chiesa degli armeni, dedicata alla Beata Vergine delle Grazie. Fu consacrata il 1 maggio 1859 ed era unita ad un collegio-convitto con ginnasio e scuola reale in lingua italiana, attivo fino al 1875.
La chiesa, dotata all’interno del bellissimo organo Rieger, dono di Julius Kugy che qui veniva a suonare ogni giorno, è sempre stata di proprietà della Congregazione dei Padri Mechitaristi di Venezia, anche se abbandonata dagli armeni e sede, fino al 2009, della Comunità cattolica di lingua tedesca. Ora il complesso è chiuso ed in fase di restauro.
Furono le opportunità offerte dal Portofranco ad attirare gli armeni a Trieste. Nel 1715 un gruppo di padri mechitaristi arrivò a Venezia da Costantinopoli ed in seguito giunsero anche qui. All’inizio la comunità contava circa una cinquantina di persone, ma da un rapporto del 1802 appare che già nel 1773 era aumentata fino a comprendere ben 560 membri. Molti erano imprenditori e sappiamo che Venezia incaricò nel 1773 il Casanova di indagare sui loro rapporti con il nuovo emporio. Si possono ricordare anche personaggi come Paolo Sceriman, ciambellano di Maria Teresa e governatore di Trieste e Gorizia, noti medici, scienziati, commercianti come Augusto Pilepich, fiduciario della vetreria Salviati di Venezia.
Oggi la chiesa, che svetta alta sul pendio sopra via Tigor, non può più essere sostenuta da una numerosa comunità, che ora è ridotta ad una decina di famiglie, che dal 2001 difendono la propria cultura e la comune memoria grazie all’associazione culturale “Zizernak” , che in armeno vuol dire rondine.