Nei percorsi della Parola: le chiese delle comunità protestanti

di Tristano Matta

L'istituzione del porto franco (1719) e la conseguente crescita delle attività commerciali e finanziarie attirarono a Trieste già dal decennio successivo un crescente numero di commercianti, uomini d'affari e imprenditori stranieri – ebrei, levantini, tedeschi, svizzeri, inglesi, armeni – tutti attirati dalle possibilità di sviluppo che la nuova politica asburgica in campo marittimo e commerciale prometteva loro.
L'insediamento in città di uomini e famiglie di diversa lingua, etnia e religione comportò dunque l'arrivo e il formarsi accanto alle più numerose “nazioni” (come vennero allora definite) di origine ebraica e greca, anche di nuclei di cattolici orientali, come gli armeni, e di protestanti, in primo luogo di luterani tedeschi e calvinisti elvetici.
Dopo un periodo di circa mezzo secolo, a decorrere dalla Istruzione relativa alla Patente del Porto Franco concessa nel 1725 da Carlo VI, durante il quale agli appartenenti alle religioni diverse da quella cattolica fu consentito l'esercizio del proprio culto in forma privata, la piena pubblicità dei culti e l'integrazione delle “estere nazioni” nella generale vita sociale si realizzarono con l'Editto di Tolleranza emanato da Giuseppe II nel 1781, un anno dopo la scomparsa della madre Maria Teresa e la fine della coreggenza. Il testo dell'Editto non si rivolgeva ai soli protestanti ma a “tutti gli individui delle confessioni augustana ed elvetica, come a quelli del rito greco orientale...”. All'inizio dell'anno seccessivo l'Editto fu esteso anche gli ebrei.
Solo in seguito a tale decisivo provvedimento, pertanto, anche le prime comunità protestanti presenti a Trieste poterono avviare le loro attività in pubblico e possedere le loro prime chiese. Esse sono ancora oggi le principali, anche se non le sole, testimonianze di una vicenda storica che affonda le sue radici proprio nel clima di apertura e di tolleranza che la cultura illuminista ed il riformismo asburgico – qui impersonati soprattutto dal giuseppismo e dalla intraprendente politica di un governatore della statura di Karl von Zinzendorf – diffusero a Trieste, contribuendo anche, con le nuova visione che essi introdussero sul piano della politica religiosa, a porre le premesse per favorire ulteriormente il rapido sviluppo emporiale della città nel secolo successivo.

Nei percorsi della Parola: le chiese delle comunità protestanti

La chiesa luterana di largo Panfili

di Tristano Matta

La comunità luterana di Trieste, formata inizialmente soprattutto da imprenditori commerciali e loro dipendenti, provenienti da Kempten, Norimberga, Augusta ed altre città tedesche, si costituì ufficialmente nel 1778, ad oltre mezzo secolo di distanza dal trasferimento in città delle prime famiglie evangeliche. A consentire la nascita ufficiale della congregazione era stata la concessione pochi mesi prima agli stessi luterani di tenere il loro culto in forma privata, mentre già dal 1753 era stato loro consentito l'acquisto di un terreno in città da adibire a cimitero. La neo costituita comunità poté dotarsi di un primo edificio per il culto nel 1786, grazie all'acquisto della chiesa della Beata Vergine del Rosario, edificio barocco edificato nella prima metà del '600, che figurava allora tra le chiese chiuse in seguito alla soppressione di molti ordini religiosi e delle confraternite avviata dalle riforme di Giuseppe II. Essa fu dedicata alla Santissima Trinità e funse da luogo di culto dal 1786 al 1871.
Lo sviluppo della comunità nel corso dell'Ottocento è attestato, oltre che dalla crescita numerica e dal consolidamento patrimoniale, anche dall'avvio di rilevanti attività sociali, tra le quali spicca l'apertura nel 1835, in collaborazione con la comunità elvetica, della Scuola evangelica di lingua tedesca, destinata nei decenni successivi ad accogliere molti giovani alunni, anche non evangelici. Nel 1870, il Comune di Trieste, nel quadro della sistemazione urbanistica dell'area di piazza Grande chiese ed ottenne la cessione della Chiesa della B.V. del Rosario, offrendo in cambio, oltre al prezzo pattuito, l'area dell'allora piazza dei Carradori (odierno largo Panfili) per la costruzione di un nuovo edificio di culto, più rispondente alle esigenze, anche di visibilità nell'ambito cittadino, dell'ormai numerosa e consolidata comunità, che a fine secolo conterà oltre mille aderenti.
L'attuale tempio in stile neogotico fu progettato dall'architetto C. Zimmermann di Breslavia e realizzato dall'impresa triestina Berlam e Scalmanini. L'apertura al culto avvenne nel 1874. Si segnalano, dal punto di vista architettonico, il rivestimento esterno in pietra carsica proveniente dalle cave di Rupingrande, la copertura spiovente in lastre di ardesia, l'abside a pianta ottagonale e soprattutto lo svettante campanile, ornato di guglie fiorite, alto 50 metri, le cui dimensioni imprimono un forte slancio verso l'alto all'intero edificio, lungo soltanto 35 metri. Ciò trova una spiegazione anche nel fatto che il Comune di Trieste si era impegnato a tenere libera l'area prospiciente la facciata fino alla via Squero nuovo (oggi via Milano). La mancata realizzazione della prevista grande piazza, ha invece in un certo senso limitato il significato architettonico della torre campanaria. Le tre campane originarie, delle quali oggi non ne resta che una, furono ricavate dalla fusione di un cannone francese catturato a Sedan e donate alla chiesa dal primo imperatore del Secondo Reich, Guglielmo I.
All’interno si segnala soprattutto la bella vetrata centrale dell'abside, realizzata dalla vetreria artistica Zettler di Monaco di Baviera, che rappresenta la Trasfigurazione di Cristo, secondo un celebre dipinto di Raffaello Sanzio, e che fu offerta dalla famiglia von Rittmeyer, alla quale si deve anche l'istituzione della fondazione per i ciechi. Importante anche l'organo costruito dal fabbricante Steinmeyer, di Alt Oettingen in Baviera. Restaurato dalla stessa ditta nel 1985 è tuttora utilizzato per frequenti concerti. Due monumenti funebri di stile neoclassico, di cui uno è rimasto senza le figure, sono dedicati a due membri fondatori della Comunità. Realizzati da Antonio Bosa da Bassano, allievo di Canova e collocati nella chiesa del Rosario, furono poi trasferiti in quella attuale. Nella sacrestia tre lapidi murate, datate 1786, anch'esse qui trasferite dalla precedente chiesa, sono dedicate all’imperatore Giuseppe II ed ai due governatori di Trieste, Conte Karl von Zinzendorf und Pottendorf e Conte Pompeo de Brigido.

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Chiesa riformata elvetico-valdese di San Silvestro

di Tristano Matta

La presenza a Trieste di evangelici provenienti dalla Svizzera è segnalata a partire dal 1751. Due soci, Ignazio Bianchi e Gasparo Griot, pasticcieri e caffettieri, provenienti dai Grigioni e professanti la Confessione elvetica riformata di indirizzo calvinista, aprirono in Piazza Piccola la più antica bottega del caffè cittadina. Giunti anch'essi in città allo scopo di sfruttare la favorevole situazione daziaria per la loro attività commerciale, con il loro successo attirarono negli anni successivi un numero via via crescente di connazionali, molti dei quali attivi nello stesso settore della pasticceria, della caffetteria e della ristorazione. Tra gli elvetici immigrati nella prima ondata del XVIII sec., vanno annoverati anche alcuni pasticcieri grigionesi provenienti da Venezia, in seguito alla disdetta nel 1766 dell'alleanza tra quest'ultima e il confinante Stato libero delle Tre Leghe che costrinse molti di essi a far ritorno in patria, mentre alcuni scelsero appunto di trasferirsi a Trieste. Nel censimento del 1775 in città vengono già registrati 77 calvinisti. Nel 1783 viene progettata la divisione del cimitero protestante tra luterani ed elvetici, ad indicare il radicamento del nucleo di questi ultimi.
Di composizione sociale diversa da quella dei luterani, il gruppo dei calvinisti elvetici era inizialmente costituito in prevalenza oltre che da pasticceri e caffettieri, da piccoli esercenti, bottegai ed artigiani. Ad integrare questo nucleo originario, giunsero nei decenni successivi anche calvinisti provenienti da altre regioni, sia della Svizzera francese che della Germania, ed in seguito anche dall'Olanda e dall'Inghilterra, tutti attratti dalle prospettive offerte da una città in espansione. Nel gennaio del 1782, a soli due mesi dall'applicazione in città dell'Editto di Tolleranza di Giuseppe II, fu redatto l'atto di fondazione della Comunità elvetica triestina, aderente alla Confessio Helvetica posterior, fondamento dogmatico di molte comunità calviniste europee non solo svizzere, ma anche francesi, ungheresi e scozzesi. L'atto costitutivo fu firmato dai rappresentanti di 28 famiglie. Dall'anno successivo la comunità iniziò a tenere regolari registri, nominò i suoi pastori e chiese di poter erigere una propria chiesa. In attesa di tale autorizzazione, la comunità si riunì per circa quattro anni in una cappella privata in piazzetta S. Giacomo (oggi Largo Riborgo).
Nel 1785 alcuni esponenti della comunità parteciparono all'asta indetta per la vendita della basilica di San Silvestro, anch'essa inclusa nell'elenco delle chiese chiuse nel 1784 dal governo, e si aggiudicarono l'antico edificio di rilevante valore storico offrendo la somma di 2.120 fiorini. Quasi un anno dovette trascorre, tuttavia, prima che il governatore Pompeo Brigido, ratificasse il contratto di compravendita, a motivo dell'opposizione alla cessione della chiesa ai protestanti da parte cattolica, che la riteneva troppo vicina alla chiesa di S. Maria Maggiore e quindi possibile fonte di “disturbo”. Tali resistenze furono superate con un compromesso: la chiusura del portale principale di ingresso sotto il campanile e l'apertura di un nuovo ingresso sulla facciata principale, sotto il rosone. Dopo costosi lavori di restauro, la nuova chiesa della comunità elvetica, dedicata a Cristo Salvatore, venne solennemente inaugurata il 2 ottobre 1786.
Nel corso del XIX secolo, con la crescita dell'emporio, anche la comunità elvetica triestina si consolidò, acquisendo nuovi membri provenienti sia dai territori dell'Impero che da altri paesi, ma soprattutto a partire dagli anni Trenta, dalla Svizzera di lingua tedesca, con numerosi imprenditori e uomini d'affari che caratterizzarono sempre più in senso germanico la comunità, per l'uso della lingua, modificandone altresì la connotazione sociale.
La comunità triestina, che dipendeva organizzativamente dalla Sopraintendenza di Confessione Elvetica di Vienna, venne ovviamente a trovarsi in difficoltà in seguito alla Grande Guerra ed all'ingresso di Trieste e della Venezia Giulia nel Regno d'Italia. Il rischio di un suo crescente isolamento venne ben presto superato, tuttavia, nel 1926 mediante una Convenzione con un altra comunità evangelica italiana che si era costituita in città alla fine della guerra, quella valdese. La confessione di fede di quest'ultima ricalca sostanzialmente quella calvinista accolta dal Sinodo di La Rochelle nel 1571, a sua volta molto vicina alla Confessio Helvetica Posterior. Quindi tale affinità dottrinale consentiva agevolmente un accordo tuttora in essere tra le due comunità, che ha consentito da allora ai riformati elvetici di usufruire dei servizi del pastore valdese di lingua italiana, pur mantenendo la propria autonomia amministrativa.
La piccola, ma affascinante, basilica di San Silvestro fu considerata a lungo la chiesa più antica della città, prima della recente scoperta dei resti di una basilica Paleocristiana in via Madonna del Mare. Edificata in stile romanico, probabilmente sui resti di un edificio più antico, è databile alla metà del XII sec. I lavori di restauro svolti nel 1927 per riparare i danni di un terremoto, ne hanno ripristinato gli elementi romanici fondamentali: finestre laterali, arcate, un sobrio rosone, un portico sormontato da un campanile che forse riutilizza una torre difensiva della vecchia cinta urbana. L'interno presenta una pianta di forma irregolare divisa in una navata centrale e da due navate laterali minori separate da un colonnato a tre elementi. La copertura è a capriata. La decorazione interna è estremamente sobria. Nel presbiterio si trovano una tavola marmorea ed un crocifisso in ferro battuto del XVIII sex. Sul pavimento le pietre tombali di alcuni nobili risalenti ai secc. XVI e XVII. I pochi resti degli affreschi che ancora si possono vedere risalgono all'inizio del XIV secolo: quelli a destra rappresentano scene della vita dell'Imperatore Costantino, quelli a sinistra raffigurano l'Annunciazione.

Nei percorsi della Parola: le chiese delle comunità protestanti

Tempio anglicano

di Tristano Matta

La comunità anglicana di Trieste si costituì nel 1820, ad opera di alcuni residenti inglesi staccatisi dalla comunità elvetica, di cui avevano negli anni precedenti fatto parte dato il loro esiguo numero, e di altri inglesi ed americani giunti in città durante il periodo napoleonico. Si trattava di commercianti e operatori marittimi che avevano insediato in città le loro ditte fissando la propria residenza per lo più nell'area tra il colle di San Vito e Sant'Andrea. I 14 cittadini inglesi firmatari dell'atto costitutivo della comunità presentarono immediatamente una richiesta all'imperatore Francesco I perché fosse ad essa consentito di erigere un proprio locale di culto. Nonostante il permesso fosse stato accordato in tempi brevi, fu necessario attendere ancora alcuni anni prima di dare inizio ai lavori per la costruzione della chiesa a motivo del ritardato riconoscimento della comunità da parte del governo britannico, che avvenne solo nel 1827. Nel frattempo gli anglicani furono ancora ospitati, per il proprio culto, dagli elvetici. Il primo cappellano della comunità, nominato dal vescovo di Londra, si insediò a Trieste soltanto nel 1829.
Nell'anno successivo iniziarono i lavori per la costruzione del tempio in un fondo acquistato dalla comunità in contrada San Michele (oggi via S. Michele 11). L'architetto triestino Giacomo Fumis progettò e realizzò l'edificio in stile neoclassico, secondo il gusto prevalente dell'epoca, che venne inaugurato il 26 giugno 1831 e dedicato a Cristo (Christchurch). Notevole dal punto di vista architettonico la facciata caratterizzata da un pronao di stile greco del tipo “in antis” con due pilastri laterali e due colonne lisce centrali che chiudono lo spazio sottostante il frontone. La temporanea crescita della comunità negli anni immediatamente successivi (circa 160 membri, alcuni dei quali provenienti dagli Stati Uniti), portò ad una risistemazione dell'interno, semplice a pianta rettangolare e dotato di un'unica piccola cappella a nicchia destinata ad ospitare l'altare, con l'aggiunta di una galleria destinata ad ospitare l'organo.
Tuttavia la presenza delle famiglie inglesi a Trieste non si mantenne costante: per molti commercianti e uomini d'affari si trattava di una sede tra le altre e la loro attività era caratterizzata da una notevole mobilità. Ciò causò una costante debolezza della comunità anche dal punto di vista finanziario, rendendo necessaria una cospicua sovvenzione da parte del governo britannico per il sostentamento del cappellano e le altre spese. Pur svolgendo anche l'importante ruolo di offrire ospitalità spirituale per gli equipaggi delle numerose navi inglesi di passaggio nel porto, la chiesa rimase chiusa dal 1844 al 1862, quando riprese l'attività sotto la cura del cappellano della comunità di Fiume. La ripresa dell'attivismo della comunità anglicana in quella fase del secondo '800 è anche testimoniata dall'apertura di una scuola di lingua inglese, che funzionò per alcuni anni. Anche la Grande Guerra provocò nel secolo successivo la temporanea chiusura della comunità, che riprese un'attività più ridotta sotto il nuovo governo italiano, quando negli anni Venti la Chiesa anglicana triestina fu inglobata nella Diocesi di Gibilterra. Dopo la chiusura imposta dalla Seconda guerra mondiale, il tempio fu requisito dal GMA ed adibito a Garrison Church (chiesa militare) per i soldati angloamericani di stanza a Trieste. Restituito al culto civile nel 1954, dopo essere stato temporaneamente sede di una sezione della British Legion (associazione dei militari in congedo), fu successivamente chiusa a motivo del degrado dell'edificio, che era stato danneggiato anche durante la guerra. Le poche famiglie anglicane rimaste furono ancora una volta ospitate dagli elvetici (il pulpito anglicano si trova ancora nella chiesa di San Silvestro).
Acquistato dal Comune di Trieste nel 1985 e sottoposto ad un accurato restauro, il tempio anglicano è oggi sede e sala prove della prestigiosa istituzione musicale della Cappella civica ed ospita le funzioni religiose della Comunità Ortodossa rumena espressione religiosa della numerosa comunità di immigrati romeni nella nostra città.

Nei percorsi della Parola: le chiese delle comunità protestanti

Chiesa metodista di Scala dei Giganti

di Tristano Matta

La presenza del metodismo a Trieste risale alla fine del XIX secolo. Questo movimento religioso sorse in Inghilterra nel Settecento ad opera di John Wesley inizialmente come corrente di risveglio che si richiamava al non conformismo puritano all'interno dell'anglicanesimo, per poi separarsi a formare una chiesa indipendente, caratterizzata da uno spiccato carattere sociale e popolare ed uno spirito di evangelizzazione che si proponeva di fornire una efficace risposta sul piano religioso alle conseguenze sociali della rivoluzione industriale, assumendo così un carattere decisamente progressista ed emancipatore. La sua diffusione in Italia si colloca nel Risorgimento, quando i primi missionari metodisti inglesi ed americani vi si erano trasferiti ritenendo il nuovo stato italiano liberale terreno adatto per una nuova presenza protestante specialmente indirizzata all'evangelizzazione dei ceti popolari.
Fondatore della comunità metodista di Trieste fu il pastore Felice Dardi, triestino, ex seminarista cattolico a Gorizia, che aveva già svolto il suo ministero nelle comunità di Milano, Genova e Roma. Giunto a Trieste, pur in assenza di una comunità costituita, Dardi decise di aprire una chiesa che indirizzasse la sua attività ai ceti popolari e che rispondesse all'esigenza, sentita anche nell'ambito delle altre comunità protestanti locali, di una predicazione in lingua italiana. Il suo arrivo nel 1898 impresse al protestantesimo locale un carattere missionario ed evangelizzatore estraneo alle comunità preesistenti, tutte legate al mantenimento delle proprie tradizioni religiose nazionali. Esse pertanto non lo considerarono un concorrente, ma ne colsero il potenziale innovativo, stabilendo con i metodisti buoni rapporti. In particolare, un contributo notevole all'attività del Dardi venne nei primi anni da un esponente della comunità luterana, Davide Frauer, passato ben presto al metodismo, di orientamento filantropico e cosmopolita, particolarmente interessato anche attraverso la sua attività pubblicistica alla diffusione dell'evangelismo in Austria. Dardi riuscì ad ottenere in affitto dalla comunità luterana la cappella dell'ex cimitero di quella comunità di via del Monte, ormai abbandonata da cinquant'anni, dopo il trasferimento di tutti i cimiteri a Sant'Anna. Con l'aiuto di Frauer ed altri membri della nuova comunità, la cappella che era in precarie condizioni venne restaurata e fornita di arredi sacri in tempo per essere inaugurata con il culto di Natale del 1898. Tra i primi aderenti alla nuova comunità figuravano alcuni triestini di lingua italiana: furono questi i primi triestini non di origine straniera ad aderire al protestantesimo dopo l'epoca della Riforma.
I primi anni della nuova comunità non furono tuttavia facili, in quanto l'attività di predicazione fu notevolmente avversata sia dall'autorità ecclesiastica cattolica di allora, sia dall'Imperial Regio Governo Asburgico, che considerava quella metodista una confessione religiosa non riconosciuta dalla legge dello Stato. In particolare, la repressione dell'attività di proselitismo e di evangelizzazione del Dardi che era coronata da un crescente successo si accentuò nel 1905, quando dopo la nomina del vescovo Nagl e del nuovo governatore Hohenlohe-Schillingfürst si realizzò un avvicinamento politico tra il municipio liberal-nazionale, e la curia: in quell'anno Dardi subì dapprima un decreto di diffida a proseguire la sua attività da parte del magistrato civico ed in seguito una condanna giudiziaria con l'accusa di aver violato le leggi sull'esercizio del culto. Nonostante tutto, tuttavia, la predicazione metodista non fu mai impedita completamente ed anzi continuò nel suo successo, rivolta a tutti i ceti sociali ed a tutte le “etnie” presenti in città in una congiuntura storica in cui Trieste conobbe il suo maggiore sviluppo e la più forte immigrazione, anche perché essa si caratterizzava per il suo incisivo messaggio di liberazione dalle superstizioni, dalla paura (anche quella religiosa), e da quel senso di smarrimento, proprio dei tanti immigrati di allora che fuggivano dalla miseria dei luoghi d'origine. Lo stesso pastore Dardi fu molto attento nel percepire alcuni aspetti di carattere sociale, com'è attestato dalla costituzione di una lega antialcolica, denominata "Lega del Bene", a favore dei molti triestini colpiti dal flagello dell'alcolismo. Da quei difficili anni iniziali, attraverso non poche difficoltà, la Chiesa Metodista è andata avanti, giungendo fino ai giorni nostri ben inserita nel tessuto sociale della città. Essa in particolare ha conosciuto un incremento di aderenti nel secondo dopoguerra in seguito all'ingresso di molti metodisti esodati dalle comunità istriane, ma anche negli anni Cinquanta la perdita di alcuni membri emigrati in Australia. Oggi essa intrattiene ottimi rapporti di fraternità con tutte le altre comunità religiose di Trieste e partecipa attivamente allo sviluppo del discorso ecumenico. Un rapporto di più stretta collaborazione è quello vissuto in questi ultimi decenni con la Chiesa Valdese con la quale è unita in tutta Italia da un patto di "integrazione".
La Chiesa metodista di Scala dei Giganti è dunque il risultato del restauro e delle successive modifiche della cappella settecentesca del vecchio cimitero luterano. Della vecchia area cimiteriale essa conserva ancora il muro perimetrale sulla via del Monte ove si può oggi osservare il vecchio portale d'ingresso, murato, recante sull'architrave la dicitura “Christus est vita”, oltre ad alcune lapidi e monumenti tombali evidentemente non traslocati a Sant'Anna. In conseguenza dei lavori di riassetto urbanistico che con lo scavo della galleria Sandrinelli, la costruzione della monumentale Scala dei Giganti che sale al colle di Montuzza e del Monte di Pietà in via Pellico hanno ridisegnato il volto dell'area, l'ingresso alla cappella è stato spostato sulla Scala dei Giganti. L'edificio non è visibile dall'esterno, circondato com'è dall'alto muraglione della Scala dei Giganti e da un giardino fittamente alberato. Restaurato più volte, anche recentemente, sempre secondo la tradizione di sobrietà tipica del movimento metodista anche nell'arredo dei luoghi di culto, esso mantiene tuttora il suo carattere originario di oasi di raccoglimento e pace, pur inserito in una delle zone più trafficate del centro urbano.