Nel cuore cittadino, sui luoghi della Massoneria

di Luca G. Manenti

Il radicamento della massoneria a Trieste risale alla metà del Settecento, all’epoca della dominazione Asburgica. I suoi membri erano soliti trovarsi al Casino San Pietro, ubicato nella Locanda Grande, sull'odierna Piazza dell'Unità, in corrispondenza dell'area oggi occupata dall'hotel Duchi d'Aosta.
La prima loggia dotata di regolari patenti massoniche, denominata «Alla Concordia», venne promossa nel 1774 da un ufficiale austriaco, ed ebbe sede in una casa del Borgo Teresiano. Dal 1784 ne fu Maestro Venerabile Emilio Baraux, console generale dei Paesi Bassi.
La frequentavano negozianti, impiegati e rappresentanti del superstite patriziato cittadino. Al suo interno vigeva la regola della parità tra affiliati, senza discriminazioni sociali o religiose.
L'emergente ceto della borghesia triestina trovò così, al di fuori degli usuali luoghi d'aggregazione della comunità imprenditoriale, un ambiente in cui incontrarsi e dibattere, esercitando il proprio spirito critico.
Il mistero che ammantava le riunioni segrete della massoneria, rigorosamente esclusive, fece fiorire sinistre leggende sui suoi componenti, sospettati di complicità col demonio. In realtà, costoro erano uomini colti e facoltosi, inseriti in circuiti di conoscenze internazionali.
Salito sul trono d'Austria nel 1794, Francesco II proibì nei territori del Sacro Romano Impero la Libera Muratoria, che a Trieste sospese le attività fino all'arrivo delle armate francesi, quando rinacquero dei nuclei massonici. Fra i primi la «La Vedovella», diretta da Baraux, il quale officiava i lavori in un tempio annesso a una villa in via Commerciale, sul cui sito si trovano attualmente i caseggiati ai civici dal 31 al 35. Il giardino interno di tale complesso conserva ancora, su una parete poco esposta, l'effige di una squadra, simbolo massonico per eccellenza.
Nel 1812 venne fondata un'officina guidata da Venceslao Panzera. Vi aderirono alcuni futuri patrioti.
Nel 1813 con il ritorno degli austriaci, fu ripristinato il divieto di praticare le logge. Alla Libera Muratoria, cosmopolita e intellettualmente raffinata, subentrò allora la carboneria, orientata in senso nazionale e aperta agli strati popolari. Le librerie Orlandini e Sola e la farmacia Zampieri ospitarono la adunate clandestine dei “buoni cugini”.
La massoneria non scomparve però dall'orizzonte urbano. Nel 1816 l'architetto Pietro Nobile, già iscritto alla «Vedovella», fu incaricato di progettare un decoro per la facciata del Palazzo della Borsa. Egli ideò una serie di bassorilievi dagli espliciti riferimenti massonici.
Su di una formella posizionata sul muro prospiciente la piazza, confuso nella teoria di putti, è visibile un occhio, rappresentazione del Grande Architetto dell'Universo, inscritto in uno scettro a forma di mano.
Negli anni centrali dell'Ottocento furono i sotterranei della Rotonda Panciera, all'angolo tra via San Michele e via Felice Venezian, a divenire teatro di cerimonie massoniche. Al di sotto di questo edifico neoclassico, dall'audace prospetto curvilineo, si trova una sala che presenta tutte le caratteristiche architettoniche di un tempio libero-muratorio: dalla volta a cupola ai tre gradini per il seggio del Maestro.
Sullo scorcio del secolo i confratelli fissarono i loro appuntamenti nella «Sala rossa» della «Società Filarmonica», presso il ridotto dell’attuale Teatro Verdi. Molti di essi partecipavano agli alti livelli della politica cittadina di orientamento liberal-nazionale, come l'avvocato Felice Venezian. Lo stesso Comune quindi, sebbene adibito ad altre funzioni, può in un certo senso essere considerato uno spazio pubblico di riferimento per i massoni triestini.
Nel 1925 le squadre fasciste devastarono i locali del Verdi, bruciandone gli archivi. Terminata la dittatura, la massoneria, pur separata in diversi tronconi, ridivenne protagonista della vita di Trieste, trovando domicilio attualmente in corso Umberto Saba, al n. 20.